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24 apr 2008



UNA CRISI ECONOMICA DIFFICILE




Tutti gli indicatori economici segnalano che la crisi economica, che avvolge il nostro Paese e l’intera economia mondiale, sarà lunga e difficile.
Le ragioni sono molteplici, la crisi americana sui mutui, l’aumento del prezzo del petrolio e la concorrenza sleale cinese e indiana che inizia a farsi sentire con forza in vari settori.
Ben venga la globalizzazione dei mercati se ci fosse quantomeno quella dei diritti ma questa equazione è lungi dal realizzarsi a breve termine e i nostri comparti tessili e di accessoristica industriale soffrono molto la concorrenza orientale per il minor costo della manodopera dovuto all’assenza totale di alcuni diritti fondamentali del lavoratore in termini di tutela, sicurezza, previdenza e assistenza.
E’ come affrontare un samurai a mani nude con la pretesa di metterlo al tappeto, una missione davvero impossibile.
Durante l’ultima campagna elettorale le ricette messe in campo dagli schieramenti erano mirate ad aumentare il potere di acquisto dei salari e ad attuare misure come la detassazione degli straordinari per rendere le buste paga più pesanti, eliminare tasse ingiuste come l’ Ici e intervenire decisamente a favore della famiglia.
Tutte misure che possono servire ad alleviare le sofferenza dei redditi più bassi ma per dare la svolta decisiva ad una depressione economica di queste dimensioni bisognerebbe agire con decisioni strutturali a dir poco rivoluzionarie.
Togliamo l’Ici sulla prima casa? Bene. Diteci però come colmiamo il buco che si viene a creare nei bilanci comunali già ridotti all’osso. Aumentiamo ulteriormente le tasse locali oppure aumentiamo i trasferimenti Stato – Enti locali a fronte di tagli non si sa come oppure di aumenti di tasse non si sa dove.
Detassiamo gli straordinari? Bene . Dobbiamo, però, mettere in debito conto una brusca frenata del tasso di occupazione frutto di un aumento di ore lavorative sotto forma di straordinario a discapito di investimenti in nuove energie lavorative.
Si lavorerà di più con le stesse unità lavorative con tutte le ripercussioni negative che si potranno avere nel campo, ad esempio, della sicurezza sul lavoro .
Diminuiamo le tasse. Bene . Ma il minor gettito deve necessariamente essere colmato da un aumento del Pil ( Prodotto Interno Lordo).Meno tasse per tutti ma una maggiore base imponibile frutto di una maggiore crescita.
E’ arduo coprirsi quando la coperta è troppo corta e le misure giuste e sacrosante che abbiamo letto e ascoltato in campagna elettorale hanno bisogno per stare in piedi di un comune denominatore, la crescita economica (PIL) e gli aumenti dei consumi. Se non ci sarà sviluppo non si potrà agire energicamente sui salari e sul progresso economico ed infrastrutturale del nostro Paese.
E’ possibile invertire la tendenza negativa dell’economia attraverso una rivoluzione fiscale.
La presa di coscienza che il 30% del Pil sia sommerso dovrà farci riflettere sull’opportunità di trasferire la tassazione principalmente sui consumi dando l’opportunità a tutti i cittadini di detrarre le più importanti spese documentate.
Si creerebbe un movimento virtuoso dei consumi ed automaticamente emergerebbe il sommerso frutto dell’evasione e dell’elusione fiscale che è una malattia cronica dell’Italia dei furbi.
Nel 1972, con l’introduzione dell’ Iva, fu il primo passo verso la tassazione dei consumi ma quella riforma non fu mai conclusa e portata a regime.
Oggi ci vuole coraggio nello stravolgere le dinamiche economiche, nel portare avanti una riforma fiscale che sia più in linea con le logiche del mercato globale.
Siamo immersi in una economia consumistica, usa e getta che ha bisogno di far circolare il danaro più velocemente possibile ed in maggiori quantità e questo potrebbe avvenire in tempi brevi solo se facciamo emergere un’economia sommersa attraverso un fisco equo e la possibilità della detrazione - deduzione della maggior parte delle spese che sostiene un cittadino.
Una spada di Damocle sono gli interessi che ogni anno gravano sul debito pubblico che si è attestato nel 2007 a 1.596.762 milioni di euro, il 104% del Pil mentre la spesa per interessi è risultata pari a 76.726 milioni di euro, il 5% del Pil.
Una cifra altissima di interessi che vale una manovra fiscale e che tarpa le ali a qualsiasi progetto di reale sviluppo del Paese.
Il debito pubblico va ridotto è riportato alla media europea che si aggira intorno al 60% del Pil e ciò può avvenire in due modi, attraverso un aumento consistente del prodotto interno lordo facendo emergere il sommerso oppure vendendo i gioielli di famiglia.
E’ prioritario agire sul debito perché si potranno liberare risorse sotto forma di minori interessi passivi che potranno servire in maniera stabile e duratura allo sviluppo sociale ed economico dell’ Italia.
Una rivoluzione dolce che implica coraggio, qualche iniziativa impopolare e una lotta senza quartiere alle caste e alla burocrazia che sono un freno a mano costantemente tirato per lo sviluppo dell’Italia.

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